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Il Canto Tra terminologia e Didattica - Dr. Franco Fussi e S.J. Ghiotti
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Il Canto Tra terminologia e Didattica - Dr. Franco Fussi e S.J. Ghiotti
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IL CANTO TRA TERMINOLOGIA E DIDATTICA

 

 

IL CANTO TRA TERMINOLOGIA E DIDATTICA 

di Franco Fussi e Sara Jane Ghiotti


L’immagine empirica è stata a lungo utilizzata nella didattica del canto come ausilio pedagogico e a volte anche come modalità principale dell’insegnamento. Oggi, complici i progressi scientifici nella comprensione dei meccanismi della fisiologia del canto, l’abitudine all’uso di suggestioni immaginifiche viene usato con maggiore cautela da molti maestri specie nel costruire le basi di una solida e consapevole tecnica vocale o, quanto meno, all’interno di una maggiore preoccupazione della corrispondenza del dato empirico con la soggiacente realizzazione fisiologica da esso indotta. In altre parole, è sempre più viva la consapevolezza che le metafore vaghe e ambigue di una condotta empirica dell’insegnamento del canto sono insufficienti ad una adeguata comunicazione e resa consapevole del dato tecnico. Se infatti un maestro sa benissimo cosa significa per lui un suono “arrotondato”, tuttavia l’uso di tale termine non basta a chiarire allo studente che cosa significhi “arrotondare”, o come si “arrotonda” un suono. D’altronde, chiedere maggiore o minore spazio in qualche settore delle cavità di risonanza può produrre una ampia varietà di risultati molti dei quali non voluti, o che non corrispondono alla nozione esplicitata più semplicemente come “arrotondamento”. Nel corso dell’apprendimento tecnico, lo studente che non realizza il dettame dell’insegnante, ad esempio il citato “arrotondamento”, si sente in difficoltà proprio a causa di una modalità didattica che si avvale di una verbosità che appare vaga, ambigua e a volte illogica. Collocare il suono in fronte, in maschera, in fondo alla gola, tra gli occhi, dietro la nuca, cantare sul fiato, girare il suono, per quanto suggerimenti utili a creare suggestioni che mettono in moto comportamenti fisiologici corretti, non sono ovviamente realtà concretamente eseguibili.


Per questo, e per una formazione più matura e cosciente della tecnica vocale, i cantanti avrebbero necessità di informazioni tecniche più precise che vadano oltre il linguaggio delle immagini e si ricolleghino alla realtà di quello che succede all’interno del loro apparato fonatorio, affinchè sia reso cosciente e pianificabile il loro percorso. Le immagini metaforiche possono sicuramente avere un ruolo nella didattica, lo hanno avuto per secoli, ma hanno un loro valore soprattutto se associate ad una coscienza consolidata della funzione. Dopo che il cantante ha imparato a coordinare respirazione, attività cordale e risuonatori per i risultati specifici di una corretta emissione cantata (in base allo stile e alla categoria vocale) un’immagine può essere utile ad unificare tali funzioni. Sovrapporre anticipatamente immagini empiriche, talvolta le più disparate e contraddittorie, finisce col confondere le idee: pensando alla stessa immagine due allievi realizzano spesso emissioni diverse, altre volte nell’immaginario dei maestri un termine significa atteggiamenti fonatori o risultanze vocali opposte, altre ancora il suggerimento del maestro, che corrisponde a quello a cui lui deve pensare quando effettua una data emissione, è in contrasto con quello che effettivamente realizza.


Nonostante questo, benchè si debba essere cauti nell’uso di indicazioni empiriche basate su immagini suggestive, esse possono risultare utile complemento nell’apprendimento di concetti tecnici di base, che hanno però una base fisiologica che deve essere conosciuta se si vuole rendere più sicuro e consapevole l’uso della voce.
D’altra parte, ad un certo punto dell’insegnamento è impossibile non ricorrere all’uso di immagini, in quanto anche il più elementare modello di comportamento deve essere esplicitato e concettualizzato prima di poter essere eseguito. Ma la riuscita applicazione di un concetto preformato, e fantasioso, dipende dall’abilità di risposta, legata a sua volta alle capacità di coordinamento del sistema-voce. Questo solo dà garanzia di ritrovarsi sempre e riconoscere eventuali compensazioni che producono suoni illusoriamente corretti, perché illusoriamente accattivanti, ma che coprono in realtà deficienze tecniche.
Alcuni didatti lamentano la mancanza nella pedagogia di una terminologia standardizzata, e le immagini empiriche, insieme alle confusioni terminologiche dei vari trattati di canto, contribuiscono senza dubbio a questo problema. Non dimentichiamo comunque che anche in altri campi musicali è frequente il ricorso all’immaginario empirico per risolvere problemi tecnici.
Il contasto tra empiria e scientificità della didattica, nel canto, ha radici profonde; basta dare una occhiata alle differenze di impostazione teoretica di trattati come quelli, rispettivamente, di Francesco Lamperti e Manuel Garcia.


Ad esempio, negli antichi trattati i registri erano definiti da soli due termini: voce piena e falsetto, oppure voce di petto e di testa. Come evidenziato da Juvarra, esistevano come due punti di vista: uno (pieno/falso) che riconosceva ad ogni gruppo di toni qualità acustico-percettive innate e caratteristiche, l’altro che puntava l’attenzione sulle sensazioni vibratorie corporee (petto/testa), sensazioni su cui peraltro gli antichi non insistevano affatto nella didattica. Questo ultimo punto di vista, quando si arrivò a rigide definizioni dei registri basate su maldefinite sensazioni vibratorie, come in epoca romantica, portò al declino della didattica del Belcanto. Invece di considerare tali sensazioni come la conseguenza del corretto uso dei registri primari, esse furono considerate finalità dell’apprendimento per stabilire una corretta risposta meccanica da parte dell’apparato vocale, passando così ad indicare il termine di “testa” l’area anatomica di risonanza per la “proiezione” del suono, col fiorire di indicazioni quali “il suono avanti”, “lanciare il suono lontano”, “il suono fuori”, “lo sbadiglio”, “la vibrazione del naso”, “la vibrazione del naso”, “la vibrazione dietro i denti superiori”, “la patata bollente in bocca”, ecc. (Juvarra).
La subentrante pedagogia trovò una delle sue massime esponenti in Lilli Lehmann che descrisse nel suo trattato tutte le sensazioni corporee chinestesiche e propriocettive che la propria emissione produceva, con l’equivoco di considerarle universali e non soggettive, e fissando minuziosamente i diversi lughi anatomici muscoloscheletrici di risonanza per ogni nota dell’estensione. Da allora ogni celebrità nel campo del canto e della sua didattica ha ceduto alla tentazione di individuare nei propri “luoghi vibratori” la “tecnica” per tutti: così Whiterspoon diede importanza ai lati del naso, Caruso si focalizzò sulle gambe, Jean de Reszke nella “maschera”.
Ogni maestro di canto, nel proporre il suo metodo, tende a selezionare il materiale didattico che ha reperito nel suo bagaglio formativo quasi esclusivamente in base alla sua esperienza personale e senza altra regola oggettiva. Un maestro può enfatizzare il controllo della respirazione e il sostegno del suono come fondamento di una corretta tecnica vocale, un altro può dare più importanza alla ricerca delle posizioni “in maschera”, un altro ancora l’ancoraggio laringeo e la ricerca dello spazio faringolaringeo per la costruzione del “corpo”. I metodi a volte sembrano così lontani e differenti solo perché ognuno dà particolare importanza ad uno solo dei fattori, così che si finisce col sentir dire, o col credere, che esistono tanti metodi quanti maestri.
Le sensazioni verificabili in una corretta emissione, da memorizzare e di cui fare tesoro, non possono essere recepite finchè la voce non è correttamente usata: un effetto non può produrre la sua causa. Solo a questo punto, per quanto fantasioso che sia, potrà essere utile pensare, come ad esempio ci è capitato sentire, alla “pallina da ping pong sostenuta al centro degli occhi da quello zampillo di fontana che è il fiato”, o alla”banconota da centomila lire tenuta stretta tra le chiappe”.
Nonostante quasi tutti dichiarino metodi scientifici di insegnamento, la didattica usa spesso immagini empiriche per superare i problemi tecnici e ingenerare la consapevolezza di una corretta emissione. I foniatri stessi devono adattarsi all’immagine nel dialogo col cantante, per comprendere, attraverso un linguaggio comune, la natura dei suoi sintomi, col compito di dare all’immaginario tecnico una giustificazione e una interpretazione fisiologica reali.
Le ragioni della secolare resistenza dell’empiria nella didattica e nel gergo comune, vanno ricercate anche nella tradizione orale e nella pratica di insegnamento di cantanti celebri a fine carriera, per una didattica basata sovente sulle loro sensazioni soggettive, quell’immaginario attraverso cui loro hanno ottenuto un corretto coordinamento pneumofonico. Questo non è necessariamente garanzia di un buon insegnamento, in quanto non implica il riconoscimento della possibile differenza tra l’immagine e la verità fisiologica. I migliori esecutori non sempre hanno avuto un apprendimento meditato dei principi pedagogici e della corretta fisiologia, né sono garanzia in quanto divi di come applicare tali principi. L’uso dell’immagine dovrebbe dunque in ogni caso essere basato sulla comprensione della realtà fisiologica della fonazione cantata, non un occasionale supporto a doti innate particolari ed irripetibili come nel caso del grande cantante.
I concetti espressi in immagini dovrebbero aiutare quindi a rinforzare un principio fisiologico, per aiutare a risolvere consapevolmente i problemi tecnici attraverso approcci non tecnici. Dire “solleva l’arcata zigomatica” invece di “metti il suono in maschera” non aiuta a forse a descrivere, con un poco più di aderenza al reale, lo stesso processo? Parlare di muscoli non complica la vita agli allievi; e sicuramente non è al muscolo cricotiroideo o tiroaritenoideo che penseranno quando canteranno, ma a non sollevare la laringe, e a “mettere il suono in gola” e “portarlo avanti”. Ma con una coscienza vera, soprattutto con una più matura autonomia di sorveglianza della propria emissione, e anche con una maggior capacità di giudizio sui loro formatori e curatori, maestri e foniatri.
I maestri dovrebbero anche determinare quale terminologia lo studente già conosce o utilizza e a cosa si riferisce nell’usarla. Se una immagine viene utilizzata per indurre una corretta coordinazione, la stessa dovrebbe essere sempre integrata con la coscienza personale del didatta (se non con la spiegazione all’allievo) di quel che realmente succede. Il suggerimento dovrebbe essere dunque un suggerimento calcolato.
A partire da queste cosiderazioni abbiamo voluto ‘saggiare’ le competenze/conoscenze fisiologiche dei cantanti in relazione ad alcuni termini tra i più frequentemente usati nella didattica del canto.
A tal scopo abbiamo selezionato venti termini che sono stati sottoposti a definizione da parte di venti persone, divise in due popolazioni statistiche, di dieci componenti ciascuno: cantanti professionisti, includendo tra essi cantanti diplomati o studenti di canto (moderno o lirico) da oltre tre anni, e cantanti non professionisti, ovvero coloro che studiano canto da meno di tre anni o autodidatti.
I termini erano, nell’ordine:


Emissione in maschera
Voce di petto
Voce di testa
Registro
Passaggio di registro
Suono coperto
Affondo
Appoggio
Sostegno
Falsetto
Voce mista
Voce piena
Corde vocali
Cavità di risonanza
Punta
Proiezione
Cavità
Vibrato
Tessitura
Estensione


Sulla base delle risposte fornite abbiamo cercato di suggerire elementi utili ai fini di un counseling cognitivo del ruolo della fisiologia nella tecnica vocale e indicazioni logopediche per un approccio ri-abilitativo verso quel cantante-paziente che mostri lacune tecniche in riferimento ai concetti considerati. Ciò potrà fornire soluzioni più consapevoli alle prersonali carenze, per una conoscenza più oggettiva e competente della fisiologia soggiacente all’aspetto tecnico incompetente.
Il questionario è stato somministrato, senza limiti temporali, in forma scritta.
Abbiamo successivamente comparato le varie risposte fornite dai due diversi gruppi intervistati, ovvero i “professionisti” ed i “non professionisti”, andando a evidenziare quelle più frequenti, gli errori più comuni, e cercando di dare ragione delle affermazioni più strane e fantasiose. Analizziamole:


 
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