Pagina 1 di 2 Le posture del cantante di Franco Fussi Forse non sempre siamo consapevoli che in teatro, oltre ad essere presente un codice codificato di emissione vocale, quella appunto lirica o in genere “colta occidentale”, esistono delle convenzioni legate all’arte scenica che scaturiscono dalla mediazione tra necessità vocali e necessità attoriali, in altre parole dalla relazione contemporanea tra tecnica vocale e movimento corporeo. Il movimento in scena è condizionato da tre ordini di fattori: una prima serie di automatismi posturali sono legati alle modalità fonatorie proprie del cantante, in particolare alle necessità di posturazione in relazione alla gestione respiratoria (quindi torace, addome, pelvi e bacino) e all’uso dei risuonatori (quindi collo, mandibola, articolazione periferica). Un secondo ordine di problematiche è indotto dal rapportarsi dell’esecutore ad una platea che gli sta di fronte, e dunque agli aspetti posturali in relazione al rapporto tra spazio esecutivo e “proiezione” della voce. Una terza serie di variabili è legata alle necessità della regìa e della recitazione. A rendere ancora più complessa la cosa si aggiungono anche fattori di tipo tensionale muscoloscheletrico da ansia della performance.
Gli sterotipi posturali del cantante lirico, che riconosciamo nelle raffigurazioni più o meno caricaturali del divo dell’opera, nei dipinti da Degas, Toulouse-Lautrec, Daumier fino al faentino Mattioli, o ai più recenti disegni di Annachini e Piani, sono in gran parte legati a risposte motorie e posturali del corpo legate a necessità fisiologiche di economia di gestione dell’impegno muscolare e resa ottimale della risposta vocale, che spesso entrano in contrasto con una recitazione più spontanea e naturale ricercata dai registi. Da qui nascono alcune incomprensioni durante la costruzione dello spettacolo, in quanto, almeno in certi casi, taluni atteggiamenti posturali sono per il cantante irrinunciabili: non vedremo mai un cantante cantare agilmente in posizione completamente supina senza cercare un qualche appoggio più o meno evidente con i gomiti, né lo vedremo cantare seduto a gambe tese, o eretto a piedi uniti; la postura del collo non sarà mai in estrema flessione o estensione, come il capo sarà sempre diretto il più possibile verso il pubblico anche durante un duetto amoroso; e così eviterà, cantando, uno sforzo fisico o di sollevare dei pesi. Ogniqualvolta la situazione scenica lo consentirà, o il regista lo permetterà, il cantante ricercherà l’equilibrio posturale e la staticità della posizione del suo corpo per cantare con più comodità, per “governare” meglio il gioco dei muscoli antagonisti che interagiscono fra loro per fornire un adeguato controllo della respirazione e dei risuonatori durante l’esecuzione. Non perché sia impossibile fare altrimenti, ma per limitare il “costo” energetico e non interferire col movimento sull’omogeneità dell’emissione. Ricordo un concertato in cui tutti gli esecutori erano seduti frontalmente davanti al pubblico a gambe incrociate (quindi con scarso controllo della lordosi lombare) ma la protagonista, con la complicità dell’ampia veste che indossava, sedeva sulle ginocchia, per facilitare la comodità respiratoria. Se dunque la moderna regìa vuole giustamente “ripulire” l’arte scenica da alcuni clichè posturali divenuti vizi e stereotipi di un certa retorica del gesto, dovrebbe saperli discernere da altre situazioni che sono invece irrinunciabili per ragioni fisiologiche e quindi conoscere, per rispettarle, le oggettive necessità della voce “proiettata” del canto lirico. Il teatro si evolve, è vero, come ci ricorda Sergio Bertocchi: “Il regista si avvicina al cantante che è completo, che quindi ha la bellezza vocale, la bellezza fisica, la capacità di muoversi, la capacità di essere un attore, quindi il cantante che studia e che si affaccia a questo mondo deve farsi un bagaglio che al confronto con quello di venti anni fa è raddoppiato, non può fermarsi al semplice fatto di avere la voce e cantare”. Ma le esigenze fonatorie restano quelle di sempre, come suggerisce Anna Caterina Antonacci:” Ho notato che quando mi capita di fare una recita in forma di concerto, quindi non muovendo un piede, l'esecuzione è perfetta. Però, ciò detto, nel teatro è diverso, c'è una magia, un'atmosfera...ma il movimento è sempre per me qualcosa che destabilizza. Perché anche un passo fatto prima di un acuto non facilita l'appoggio”. Le capacità attoriali fanno i conti con le esigenze posturali che il canto tecnicamente impone. Tra le problematiche posturali legate al corretto esercizio della tecnica vocale, primarie sono quelle che influenzano la gestione respiratoria. La lordosi fisiologica della zona lombare-pelvica, ad esempio, non dovrebbe essere accentuata durante l’atto inspiratorio; nei trattati e nella didattica possono riscontrarsi spesso indicazioni e manovre suggestive escogitate proprio al fine di esercitare un controllo con tendenziale delordotizzazione lombare, che favorisce il sostegno per 1’abbassamento della parte posteriore del diaframma: si sente così parlare di postura a “cow-boy”, si fanno esercizi di controllo posturale con la schiena appoggiata a una parete, si chiede di pensare a mettersi “a sedere in piedi”. Questa ricerca di delordotizzazione va comunque esercitata senza eccessi, per non provocare una chiusura "riflessa" della parete addominale anteriore, che determinerebbe conseguenti tensioni nelle componenti del sostegno espiratorio durante il canto stesso. Queste particolarità posturali sono evidenti già nella fase inspiratoria del cantante, e le si notano nel cantante che si prepara a cantare un’aria, col suo tipico “piazzarsi” sul palcoscenico; nella didattica, i meccanismi muscolari correlati sono definiti con i termini di "appoggio del diaframma" (nella ricerca di situazioni di espansione) e "sostegno sul diaframma" (nella ricerca di stabilità in preparazione all'attacco vocale).
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