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Intervista a Roman Matin (7/2008)

 Roman Matin

 

INTERVISTA A ROMAN MATIN
Di  John Douglas
Traduzione di: Eva Simontacchi

Un nuovo meraviglioso talento con un profondo feeling” – queste sono le parole di Sheila Jordan dopo avere ascoltato la musica di Roman Matin. Ralph Camey, sassofonista del celeberrimo Tom Waits ha esclamato: “Finalmente una voce originale!”

Roman Matin è un chitarrista e compositore russo il cui nome sta iniziando a farsi conoscere tra il pubblico americano ed europeo. Creatore di uno stile chitarristico unico e particolare, dotato di una sua originale bellezza, il suo sound è stato notato da noti musicisti e da migliaia di ascoltatori. Nel maggio del 2008 Roman è uscito con un nuovo album, “Music For Electric Guitar”, su etichetta russa RoDC. Lo stile chitarristico di Matin è una sintesi tra improvvisazione jazz e musica accademica; la sua tecnica poliritmica e politonale, combinata al mood lirico e nostalgico della sua musica ha conquistato gli ascoltatori, e il nuovo album ha tutte le premesse per ottenere uno spazio importante tra gli ammiratori statunitensi. Matin ha iniziato a il suo lavoro di composizione in qualità di autore per musiche da film, dimostrando di essere un musicista jazz talentuoso e distintivo con il passare del tempo.


La musica del compositore russo è stata ampiamente apprezzata da riconosciuti artisti quali Airto Moreira, Charlie Haden, Pauline Oliveros, Lenny White, Alphonse Mouzon, James Spaulding, Stu Goldberg, Ned Rothenberg, Tommy Emmanuel e da una moltitudine di giovani musicisti europei ed americani.


Cerchiamo di scoprire cos’ha da dire Roman riguardo alla musica, ai suoi progetti e alle sue preferenze musicali.


JD: Il pubblico statunitense non è sufficientemente familiare con la musica e i musicisti russi, dunque vorrei domandarti: Quanto sono forti le tue radici nazionali nel tuo lavoro creativo?  Oppure ti ritieni un cosmopolita ai massimi livelli?


RM: Mi considero piuttosto un cosmopolita. Penso che la musica sia una cosa internazionale. Sono stato cresciuto imparando l’arte di paesi diversi e popoli diversi. Ovviamente la cultura russa, incluso il segmento popolare, ha influenzato la mia visione.


JD: Dunque vorrei a questo punto parlare della tua visione. Ricordo le parole di Paul Metzke riguardo la tua musica: “Eccellente approccio classico/compositivo alla chitarra jazz”. Si possono individuare nella tua musica parti profondamente studiate insieme a una vivace improvvisazione. La tua arte si basa più sulla composizione o sull’improvvisazione?


RM: Il mio compito principale è quello di raggiungere l’impatto integrato frutto di una sintesi tra composizione e improvvisazione. Desidero evitare l’asciuttezza accademica da una parte, e i cliché e le ripetizioni che fanno parte dell’improvvisazione, dall’altra. E’ piuttosto difficile per me giudicare, ma credo di essere un jazzista nell’accezione moderna del termine.


JD: E’ risaputo che dai concerti raramente. Preferisci lavorare in studio?


RM: Penso che sia impossibile suonare due volte nello stesso modo. Ricerco con tutto me stesso un suono ideale, e per me, le migliori condizioni per ottenerlo le trovo in studio. Sono un perfezionista – da questo punto di vista sono d’accordo con Glenn Gould. Inoltre, la stessa atmosfera dello spettacolo mi è in un certo senso aliena . Forse il silenzio e la solitudine rispecchiano per me l’atmosfera ideale per creare musica.


JD: Molte persone sono interessate al tuo sound particolare e unico. Posso chiederti in che modo la tecnologia ti è d’ausilio nel  creare una voce tanto emozionante, o è un segreto?


RM: (ride) No, non è un segreto. Nei miei album uso una Telecaster fender Custom Shop del 1953. E’ la mia chitarra preferita e quella che uso di più. L’ultimo album l’ho inciso con questa chitarra. A volte utilizzo la Gibson Les Paul Standard, e a volte una Fender American De Luxe Stratocaster. Gli amplificatori che prediligo sono i Marshall della serie JCM 2000.


JD:  I tuoi brani sono brevi e si susseguono rapidamente; una parte potrebbe durare dodici misure soltanto. Sei forse stato influenzato dalla creatività dei minimalisti?


RM: Si, certamente. Il minimalismo mi è molto vicino nello spirito. Mi inchino dinnanzi alla brevità di Werben. Tra i minimalisti ammiro molto Steve Reich. Tenendo questo in conto, vorrei creare un senso di scorrimento senza fine. Sono incoraggiato da Wagner con il suo scorrimento musicale senza fine. Io chiamo i miei brani “toy plays”…. Probabilmente li ho composti per le principessine delle fiabe…. (sorride)

Roman Matin


JD: Roman, forse hai dei postulati artistici o principi dei quali vorresti parlarci?


RM: Uno dei principi fondamentali per me è l’opportunità di creare un senso di “dialogo di musica live”. Si, per me è viva, racconta qualcosa ad ogni frase musicale. Non crea solo il mio mood, ma mi racconta qualcosa; a volte storie venate di tristezza, a volte sono gioiose…. Ogni nuance, ogni sottigliezza parla molto… Da qui deriva la mia propensione all’estrema pulizia del  linguaggio musicale. Una nota per me è già tanto. Trovo che sia per me un compito molto importante dire qualsiasi cosa in modo molto conciso. Ho il timore di ripetere ciò che è già stato detto.


JD: Anthony Coleman ha definito la tua creatività di tipo “satiesco”. E’ vero che Satie ti ha influenzato?


RM: Ovviamente il grande Satie ha lasciato il suo segno sulla mia visione. Mi inchino dinnanzi al laconismo di Satie e dinnanzi alla sua espressività ed eleganza.


JD: Roman, quali altri artisti hanno lasciato il segno? Chi ti ha influenzato? Il tuo stile è talmente originale che non saprei chi suggerire.


RM: Un grande numero di artisti hanno lasciato il segno sulla mia percezione. Amo Bartok, Stravinsky, Shostakovich, Cage, Webern. Ma ovviamente non è solo la musica accademica che mi ispira. Il lavoro creativo di Bill Evans, Lester Young, Duke Ellington, Weather Report, Tom Waits, Sheila Jordan mi toccano e li ammiro. Per me la musica può essere ovunque. Si tratta di un dialogo umano; il dialogo arriva al cuore; posso sentirlo e posso non sentirlo. Il genere musicale o la scuola sono irrilevanti per me.


JD: Hai parlato di genere. A proposito di questo, vorrei sottolineare il fatto che è difficile etichettare la tua musica con un genere particolare. Potresti descrivere la sua posizione stilistica?


RM: No, non posso. Per la mia musica esiste solo il suo stile. In effetti, penso che spesso il genere stesso crei tanti cliché rendendo riconoscibile un sound. Ma io sono solo incoraggiato dalla posizione delle note nel tempo. E’ difficile per me parlare di un genere. Non ci penso, voglio solo raccontare una storia, e farlo in maniera estetica, e quando suono vengo interamente assorbito dal processo.


JD: Parliamo della tua ispirazione. Dimmi quali cose ti ispirano a parte la musica.  Si tratta forse di letteratura o pittura, o altre forme artistiche?


RM: Per la verità l’arte della musica mi assorbe quasi totalmente. Forse solo i paesaggi e la natura mi ispirano. E a volte si tratta di film. E quando trovo il mood nel cinema si tratta di una cosa molto interessante e importante. Per esempio, l’atmosfera post-indistriale dei film di David Lynch mi ispirano molto. E, ovviamente,  il loro inesauribile umanismo. Ricordo che quando vidi “Elephant Man” rimasi di stucco. E dunque capisco i film in modo sintetico. L’idea umanistica, il nastro in bianco e nero, sottofondo di rumore industriale – tutto questo crea un mood per me. E’ la mia musica, e tento di creare una musica così.


JD: Forse il fruscio dei dischi in vinile è una delle idee “sintetiche”?


RM: Si, sento una sorta di malinconia per quel periodo. Per me l’era post-industriale rappresenta la malinconia che pervade il mio animo. E’ la malinconia per il tempo in cui la “bellezza” significava molto. Forse questo mi da il senso di uno spirito, o qualcosa di simile. Dato che ho sempre desiderato creare l’effetto di un dialogo convincente con la mia chitarra, a volte vario la velocità varie volte in un brano, rallentando o aumentando la velocità della narrazione. Desidero ottenere semplicità e naturalezza nella sintesi della musica folk e del sound elettrico dell’era industriale. Per me la sintesi è un compito molto importante. Ammiro il sound della musica folk di Bartok eseguita dall’autore nelle incisioni del 1920-30. Vi è una creazione unica e immediata delle culture e dei tempi. Mi interessa molto la nostra occhiata “industriale” a qualcosa di antico, primordiale.


JD: Devo ammettere che trovo la tua visione “sintetica” molto interessante! Dopo di ciò non desidero nemmeno toccare altri aspetti… Ma vorrei ancora chiederti  qualcosa circa la scelta di una chitarra solistica. C’è per caso nei tuoi piani il coinvolgimento di una band per le tue incisioni? Anche se ricordo che Benny Russell ha parlato di “una intera orchestra sotto alle tue dita”…


RM: In Russia diciamo che “Se vuoi che Dio rida di te, parlagli dei tuoi progetti” (sorride). Cerco per ora di trovare la mia voce nelle performance solistiche. Desidero in effetti utilizzare tutta l’abilità del mio strumento per creare un sound polifonico, suonando contemporaneamente la linea del basso. La chitarra per me è una voce. E’ un piano. E’ un’orchestra! (sorride).

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